venerdì 30 dicembre 2011

presentazione di Luciano Marziano della mostra "Anemos"




Nella brochure che introduce alla mostra odierna, peraltro corredata da bellissime poesie di Vincenza  Fava e Ivonne Bianco, ci viene fornita, con equilibrati accenti e un tono ispirato, una possibile chiave di lettura dell’orizzonte operativo di Mirna Manni. Credo di poterne  individuare  la sostanza  in una sollecitazione esistenziale, con ogni conseguente problematicità, che da sempre informa la ricerca artistica di Mirna. Una ricerca condotta   all’insegna  di forti connotazioni concettuali  qualificate da  una profonda sacralità, colta  nel ciclo dell’esistenza che va dall’arco germinale  della nascita al momento conclusivo della vita che è la morte.
E’ un percorso intriso di molteplici sentimenti , alcuni dei quali sono come costeggianti i limiti confinari dell’esistenza , mentre in altri ci si trova immersi  con la durezza del vissuto di prima mano.  Come la perdita di un parente stretto. Esperienza che Mirna  ha dolorosamente attraversato  di recente  in conseguenza del definitivo distacco dalla madre.
In questo percorso, caratterizzato da misteri  ed enigma,  per penetrare nei quali si  richiede  un impellente e continuo aggancio  di concretezza, la ceramica, cioè il  primario materiale offerto dalla terra, consente di apparecchiare gli strumenti per  accostarsi, con la seppur remota, ma, in ogni caso, legittima speranza  di conoscenza,  al mistero dell’esistenza  formulando un apparato linguistico di comunicazione anche dalle  alte valenze simboliche come  griglia, ambito di  domande e di possibili risposte.
Mirna  tende, quindi, a  costituire una globalità intenzionale che si riflette  nei modi, o meglio, nella modulazione espressiva.
In primo luogo, vengono chiamati in causa  le categorie dello spazio e del tempo che, come è ben noto, hanno costituito lo stigma problematico, il terreno di coltura della ricerca  dell’arte moderna e che, come un  inestinguibile sciame speculativo, continuano ad  imporsi  in ogni azione, atto  del contemporaneo artistico.
I procedimenti installativi, i più generali livelli di operatività ambientale, si inseriscono i questo quadro che definirei globalizzante.
Questo vuol dire che  la galleria  da luogo di accoglienza indifferenziato, viene assunto e indotto a spazio  sperimentale  di eventi, proiezione  di un operare e di una ricerca  che  ha quale finalità,  oltre  a quella intrinseca e specifica, anche  il coinvolgimento totale,  in una innovazione di ruoli  rispetto al passato  che era caratterizzato  dall’autoritarismo dell’artista  e dalla relativa passività dello spettatore. 
Mirna ha rotto il circuito delle gerarchie. Correndo il rischio di mettere a nudo  sentimenti, moti interiori, privatissime sensazioni, trasforma lo spazio della galleria in luogo dell’anima, proponendo frammenti significativi del reale del quale fornisce  alcuni dei possibili e innumerevoli dati. Istituisce, così,  una situazione comunicativa  che legittima l’operazione  salvaguardandola da una bassa spettacolarizzazione.
E’ il caso di sottolineare che  le caratteristiche testè richiamate, cioè sacralità, germinazione, scelta dei materiali funzionali  alle esigenze di una specifica espressività, sono state  perseguite da Mirna che si è mossa sempre  all’insegna di una permanente ritualità  cogliendo  le forme canoniche  del suo manifestarsi, in primo luogo, attraverso   l’evento iconico  assunto nella  strutturazione totemica  conseguita per assemblaggio  di moduli offerti dalla natura  o ad essa riconducibili.
Di qui  deriva quella positiva ambiguità  che consente  molteplici  letture ben evidenziata nel presente evento  espositivo articolato  nell’installazione  costruita  con i lacerti di un mondo oggettuale  riconoscibile. In ogni caso,  la denominazione dell’opera nell’impatto della lettura visiva  dirotta verso altre dimensioni. I bozzoli assemblati , pur non negando la loro natura di transito vitale, danno luogo  ad una situazione  altra, come quella della marcia, del corteo.
E’ un esempio, questo, dimostrativo di come l’opera d’arte  può avvitarsi in sé stessa  e produrre eventi e suggestioni virtualmente infiniti.  Mirna espone il dato indiziario. Al pubblico   coglierne  tutte le valenze con la  specifica intelligenza da cleptomane.
Credo  che questo modulo interpretativo può essere  applicato alle altre opere: alle scatole quale cerchio magico del bianco e nero, suscettibile di infinite letture. Positivo negativo, vita morte in un gioco sterminato di  corrispondenze e contraddizioni da cogliere, in via primaria,  tra il trattamento della materia, la sua formulazione. Poi, ma non infine,  la sua scansione formale che, in fondo , è il primo livello  di pertinenza dell’artista  perché l’altro, come prima ricordato, è affidato  alla responsabilità, alla disponibilità, alla, a volte sofferta, acutezza interpretativa del fruitore.